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Venerazione e culto


Dopo la sua morte, la sera del 9 marzo 1440, la salma di Francesca fu trasferita nella chiesa di S. Maria Nova al Foro Romano e lì esposta per tre giorni alla pubblica devozione, richiamando intorno a sé una gran folla di popolo, attirato dalla sua fama di santità e dalla speranza di sperimentare il potere taumaturgico del corpo o di impossessarsi di qualche reliquia del “preziosissimo tesoro”.  Si verificarono in effetti numerosi miracoli e dopo la sepoltura nella basilica, nel luogo stesso che la Vergine aveva indicato a Francesca in una visione, S. Maria Nova divenne un grande santuario caro alla devozione dei romani.  Nello stesso anno, in autunno, papa Eugenio IV autorizzò l’apertura della causa di canonizzazione.  In breve volgere di tempo - 1440, 1443, 1451  -  si svolsero tre inchieste, che non approdarono però alla fase apostolica.  La documentazione prodotta era imponente e di assoluto rilievo, perché espressione della memoria di una cerchia di persone che avevano conosciuto Francesca in vita e avevano avuto con lei rapporti diretti e profondi.  Non del tutto chiare sono le ragioni per cui la causa, che sembrava avviata a una rapida conclusione, subì una battuta d’arresto. Ciononostante, non venne meno la devozione spontanea dei romani alla loro santa protettrice.  Fin dal 1464 il Magistrato della città decretò che il 9 marzo fosse considerato giorno festivo in onore di Francesca, Advocata Urbis, con astensione dal lavoro in curia Capitolina.  Nel corso del secolo si consolidò l’uso di tenere, nella basilica di S. Maria Nova, la “Cappella Cardinalizia”, una celebrazione eucaristica solenne cui  partecipavano i membri del Sacro Collegio quasi al completo.  
 Il passo decisivo in vista della canonizzazione fu compiuto  nel 1602 da Clemente VIII, che accogliendo l’istanza delle più alte magistrature cittadine e delle oblate di Tor de’ Specchi emanò il decreto di revisione dei processi. Il 29 maggio 1608, nel giorno del terzo anniversario della sua incoronazione, il papa romano Paolo V Borghese elevava all’onore degli altari Francesca Bussa dei Ponziani (1384-1440), “la più romana di tutti i santi”. Determinante era stato in quella occasione l’intervento del cardinale Roberto Bellarmino che aveva accompagnato il suo voto favorevole con un memorabile discorso tenuto in Concistoro. L’illustre teologo gesuita disse infatti che la pia signora dei Ponziani era uno specchio perfetto della condizione femminile vista nel suo triplice stato di vergine, sposa, religiosa.  La santa che veniva dal cuore stesso di Roma, la santa dei vicoli e dei rioni, dei malati e dei poveri, poteva quindi essere indicata come modello universale di pietà per tutti i cristiani di ogni ceto e condizione, esempio perfetto anche degli ideali religiosi del nuovo corso post-tridentino. 
Il libretto della canonizzazione contiene un resoconto molto dettagliato della cerimonia in S. Pietro, che si svolse con grande fasto e magnificenza, quasi a inaugurare la nuova grande stagione della Roma barocca.  Francesca era la prima donna ad essere canonizzata dal tempo di Caterina da Siena (1461) dopo la lunga sospensione della fabbrica dei santi determinata dalle controversie confessionali.  La festa in S. Pietro fu dunque, storicamente, un evento denso di significati:  essa segnava, sia da parte del papato che delle più alte magistrature cittadine, la volontà di rilancio dell’immagine di Roma come grande capitale dell’“orbis catholicus”.   I cardinali della Sacra Congregazione dei Riti avevano deciso tutto, nei minimi dettagli: era al Priore del Popolo, Vincenzo Muti de’ Papazurri, in abito senatorio con ricami d’oro, che  spettava l’onore di portare lo stendardo, l’oggetto fondamentale del rituale, la cui presenza segnalava quella stessa della patrona, immagine-archetipo della sua persona e degli attributi della sua santità.
Già la sera del 29 e nei tre giorni successivi, dal chiuso recinto sacrale della basilica petrina la festa diventava una grande manifestazione collettiva di devozione popolare, coinvolgendo “nel giubilo” e “nella gran maraviglia” tutte le piazze e le chiese della “santa città di Roma”.  In S. Maria Nova, la basilica in cui si veneravano le spoglie di Francesca, interamente adornata di arazzi e di tendaggi, si sparsero ovunque tappeti di rose e di viole, e processioni  si susseguirono in direzione dei luoghi della nuova santa.  Intanto  “tutta la Città accese fuochi, fanali, e lanternoni, di diversi colori, che rendevano gratissimo spettacolo, e particolarmente in Campidoglio, dove fu ordinata grandissima quantità e varietà di fochi artificiali, e tutti li Gentil’huomini, e Cittadini Romani quasi a gara si contendevano con santa emulatione di superare l’un l’altro”.  Mentre i romani si riversavano nelle strade, la Madre presidente Laura Ranucci e le oblate di Tor de’ Specchi, principali beneficiarie dell’altissimo onore,  vissero in quei giorni la loro  “allegrezza tutta spirituale”  chiuse dentro le mura del loro monastero.
Il sepolcro di Francesca fu riaperto per una seconda volta il 2 aprile 1638, per autorizzazione di papa Urbano VIII Barberini.  La seconda invenzione del corpo, che venne rivestito dell’abito delle oblate, si era resa necessaria per poter costruire la nuova cappella maior in onore della santa in S. Maria Nova.  I monaci ne affidarono l’esecuzione al Bernini, che nel 1649 portò a compimento una splendida confessione a forma di teatro.  Al centro era la statua di Francesca in contemplazione, le mani incrociate sul petto, lo sguardo fisso sull’angelo con il libro aperto.  L’arca fu quindi collocata in una grande urna di bronzo dorato, donata dalla sorella di Innocenzo X, donna Agata Pamphili, oblata di Tor de’ Specchi. La canonizzazione dette un impulso notevole alla promozione del culto, che si espresse in una notevole produzione letteraria e artistica.  Due in particolare sono i fatti di rilievo: l’allargarsi della devozione dall’originario humus romano in direzione di un pubblico più vasto, in Italia, ma anche all’estero, e il coinvolgimento, nella formulazione agiografica e cultuale, di altri ambienti religiosi, oltre a quello olivetano, con il contributo determinante della Compagnia di Gesù. L’acquisizione di Francesca nel catalogo dei nuovi santi della Controriforma implicò naturalmente anche un processo di adattamento dei dati trasmessi dalla tradizione quattrocentesca agli schemi culturali e mentali del cattolicesimo post-tridentino.  Nelle nuove biografie, ma anche nell’iconografia seicentesca è possibile cogliere il tentativo di assegnare alla vicenda di Francesca un carattere simbolico più universale, proponibile a un pubblico ampio, ormai largamente europeo.  In età moderna, il modello di santità incarnato dalla santa dei Ponziani divenne quindi anche in Francia e Inghilterra il punto di coagulo delle aspirazioni devozionali soprattutto di donne del ceto nobiliare, desiderose di armonizzare la propria condizione con gli ideali della perfezione cristiana. Esemplare, in questo senso, è il celebre ritratto che M.me de Maintenon si fece fare da Pierre Mignard in veste di oblata, a testimoniare la sua grande  devozione a Francesca, di cui portava anche il nome.
Sull’onda della canonizzazione, S. Maria Nova, reintitolata a S. Francesca Romana, venne completamente ristrutturata, ma numerose furono le cappelle e le chiese che le vennero dedicate  dai monaci olivetani e da altre famiglie religiose.  Attualmente, le parrocchie dedicate a S. Francesca Romana sono quattro:  a Milano, a Ferrara, a Sant’Elena d’Este in provincia di Padova, e quella eretta nel 1959 a Roma nel quartiere Ardeatino.


 

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