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Santi a Tor de' Specchi

Tor de’ Specchi è un archivio vivente delle tradizioni e della memoria di Roma, che le oblate custodiscono e si tramandano da secoli.  Nel corso del tempo numerose sono state le personalità che hanno attraversato la vita dell’istituto, a volte per una semplice visita, più spesso per tessere fecondi rapporti di scambio e di amicizia spirituale con le figlie di santa Francesca Romana. Molti di questi ricordi rimangono affidati alla tradizione orale, a un oggetto, una reliquia, un dipinto, mentre altri sono documentati anche da testimonianze scritte.
Si dice che già a partire dal Quattrocento san Bernardino da Siena e san Giovanni da Capestrano siano entrati in contatto con Tor de’ Specchi, dove è tuttora venerata la tavoletta con il trigramma del  Nome di Gesù donata dal santo senese alle oblate.  È del resto un fatto attestato anche nei processi di canonizzazione che i due santi dell’Osservanza conoscevano bene le virtù di Francesca Ponziani di cui tessero l’elogio nelle loro predicazioni. Alla fine del Cinquecento intorno a Tor de’ Specchi si era ormai costituito un fitto reticolo di amicizie spirituali che faceva capo a personalità carismatiche del panorama culturale e religioso romano. 

 

Amicizie spirituali

Grandi padri dell’Oratorio come san Filippo Neri, Cesare Baronio e san Giovanni Leonardi furono  confessori e direttori spirituali delle oblate, e altrettanto lo fu il più giovane Antonio Gallonio. A san Camillo de Lellis invece le suore preparavano le “filacce” per le piaghe dei malati.  Nelle antiche biografie di Filippo Neri, il quotidiano si mescola ai fatti straordinari.  Nel monastero, mentre diceva messa, il santo fu visto da alcune madri sollevarsi da terra “tre o quattro palmi”;  predisse, con quarant’anni di anticipo, che Maria Maddalena Anguillara sarebbe stata presidente, come in effetti avvenne;  ottenne, per le oblate, numerose guarigioni miracolose.  Ma soprattutto egli poté esercitare a Tor de’ Specchi quella straordinaria capacità di conoscenza e di cura degli animi femminili, che le oblate tuttora ricordano con  gratitudine e venerazione, conservando l’abitudine di celebrare con solennità speciale la festa del loro santo confessore.
Un incontro importante fu quello con san Francesco di Sales, che venne per la prima volta nel 1599.  Il santo visitò due volte il monastero e ne scrisse a Giovanna di Chantal in alcune lettere, in cui la invitava a prendere Francesca Romana a modello della nascente congregazione delle Visitandine.  Era pieno di ammirazione per la vita condotta dalle suore di Tor de’Specchi:  “Esse escono per andare a servire i poveri e gli ammalati.  In questo consiste la peculiarità della loro vita religiosa che … ha prodotto a Roma grandi frutti di bene e ha dato grandi esempi”.
Intenso e privilegiato fu il rapporto con i Padri della Compagnia di Gesù, che dette frutti significativi anche sul piano culturale.  L’attenzione dei Gesuiti si espresse nel Seicento anche in una importante produzione agiografica relativa a Francesca Romana.  Nuove Vite della santa dei Ponziani vennero redatte dal Valladier, da Giulio Orsini, da Virgilio Cepari, che avevano relazioni intense con l’ambiente di Tor de’ Specchi e per le loro ricerche attinsero copiosamente all’archivio del monastero.  Né il legame si interruppe al tempo delle soppressioni: i Gesuiti affidarono alle oblate opere d’arte preziose affinché le custodissero e non andassero disperse. 

L’epistolario di don Bosco

L’ archivio conserva anche numerose lettere di san Gaspare del Bufalo, di san Vincenzo Pallotti, ma soprattutto di san Giovanni Bosco.  Una devozione speciale lega tuttora le oblate alla figura del fondatore della famiglia salesiana, che venne ospitato nella “casa dei confessori” attigua al monastero insieme ai primi giovani sacerdoti approdati a Roma.   Dall’epistolario intercorso tra la presidente Maria Maddalena Galeffi e don Bosco si evince l’aiuto concreto che le suore dettero alle prime iniziative salesiane nella capitale, come la chiesa di via Marsala e l’ospizio per gli orfani. Ma don Bosco, da parte sua, non fece mancare il suo affetto e il suo sostegno all’istituto. È infatti alla sua intercessione che le oblate  attribuiscono  lo scampato pericolo della soppressione del monastero da parte dello Stato italiano dopo le leggi Siccardi.  In segno di ringraziamento esse fecero erigere una cappella dedicata al Sacro Cuore, dove un dipinto sopra l’altare conserva il ricordo del sogno profetico di  don Bosco.  Il santo vide la casa minacciata da orrendi mostri che volevano mandarla a fuoco.  Ma essa venne risparmiata per il risoluto intervento di una donna che recava uno stendardo in cui era scritto: “Io sono l’aiuto dei cristiani”.  I dragoni si dispersero e in cielo tornò il sole, mentre l’aria finalmente fu piena di odori fragranti.   Ancora oggi le oblate osservano scrupolosamente il giorno di digiuno stretto alla vigilia della festa del Sacro Cuore formulato ufficialmente dalla comunità il 10 maggio 1876 ed approvato da Pio IX con una lettera di benedizioni.
Nella sua lunga storia, la casa di Tor de’ Specchi è sempre stata un punto di riferimento e di accoglienza per molte splendide figure della storia della Chiesa, aprendosi a tutte le molteplici componenti della fraternitas romana.   Nel contempo, il monastero ha mentenuto un legame privilegiato con la famiglia benedettina, che ha sempre venerato Francesca Romana come una madre.  Notevole è il contributo che insigni storici del monachesimo, come Ildefonso Schuster, Ursmer Berlière, Placido Lugano, Modesto Scarpini, Gabriel Brasò,  Jean Leclercq, Réginald Grégoire, Giorgio Picasso, Valerio Cattana  hanno dato alla conoscenza di santa Francesca e alle vicende di Tor de’ Specchi.  Francesca Romana, fino alla beatificazione del venerabile Placido Riccardi nel 1954, fu l’ultima santa benedettina ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa. A questo proposito va ricordata la testimonianza  del cardinale Schuster:  “Narravami tanti anni fa il pio e dotto abate di S. Maria Nova, don Bernardo Maréchaux, che una volta il cardinal Pitra fu osservato con gli occhi gonfi di lacrime presso la tomba di santa Francesca Romana.  Interrogato perché piangesse così, rispose:  “Perché dalla canonizzazione di questa oblata benedettina, l’Ordine nostro non ha più dato alcun santo alla Chiesa”.

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